sabato 15 gennaio 2022
Quattro Lady per un libro #10 - Contratto Infernale di Laura Fiamenghi
lunedì 10 gennaio 2022
Storytelling Chronicles #13
Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara della Nicchia Letteraria |
Ariadne
Mi era sempre piaciuto ammirare il deserto dalla finestra della mia stanza. Sopratutto l'alba, quando il sole cominciava a fare capolino e ad illuminare il nostro mondo. La vista era mozzafiato e questo era uno dei pochi lati positivi nel vivere in una gabbia dorata.
Essere l'unica figlia del sultano aveva spinto sua altezza a confinarmi nella torre più alta del palazzo fin dalla più tenera età. Mia madre era morta nel darmi alla luce e mio padre impazzì dal dolore. Dopo aver superato il lutto, decise che nessuno gli avrebbe portato mai via il suo unico tesoro rimasto. Io ero quel tesoro e per anni ha cercato di nascondermi agli sguardi degli uomini così che nessuno potesse reclamarmi in futuro. La mia crescente bellezza lo preoccupava e per questo non mi fece mai partecipare alle feste. Ero trattata alla stregua di una reliquia, di un oggetto prezioso che non provava sentimenti né poteva esprimere opinioni. Ci soffrivo, sopratutto da bambina, ma non demorsi e aspettai che il mio genitore fosse lontano per questioni urgenti per riuscire a uscire, anche se per poche ore, dalla torre.
Con l'aiuto della mia balia che distrasse le guardie, riuscii a raggiungere il giardino. Fu una sensazione strana ma bella vedere il sole e sentire l'aria fresca di fuori. Vedere la natura rigogliosa, i fiori dai colori sgargianti darmi il benvenuto dopo anni di prigionia. Ma nonostante ciò, non odiai mai mio padre. Lui mi amava e, seppur in modo sbagliato, cercava di proteggermi e tenermi al suo fianco. Non riuscivo a biasimarlo del tutto e il fatto che somigliassi all'adorata moglie perduta non aiutava. Mia madre era stata una occidentale, dalla pelle bianca, con bellissimi e fluenti capelli biondi. I suoi occhi erano stati del colore del mare e furono la prima cosa che incantò mio padre a tal punto da sposarla e andare contro i consiglieri che avrebbero preferito una regina dalla pelle scura.
La loro fu un'unione felice ma breve e quell'amore che mio padre serbava ancora nel cuore si riversò su di me. Perdermi l'avrebbe ucciso ma non capiva il mio bisogno di essere libera, di esplorare il mondo che c'era fuori. Avrei tanto voluto essere un falco e librare in alto nel cielo, fuori da quelle mura dorate.
Mi soffermai ad abbeverare la vista con la bellezza dei fiori quando d'un tratto sentii un rumore provenire da dietro di me. Mi girai di scatto e mi coprii di più il volto con il velo. Gesto inutile ma istintivo. Le uniche persone che mi avevano visto nei miei sedici anni di vita, oltre a mio padre, erano persone appartenenti alla servitù. Nessun altro aveva mai visto il mio viso. Per il popolo ero solo una figura mitologica, una principessa prigioniera.
Colui che vidi non era sicuramente un servo. Tutto il suo essere esprimeva autorità e gli abiti che indossava erano ricchi d'oro e di rubini. Doveva far parte di una famiglia importante.
Non proferii parola. Avevo troppa paura di dire cose sbagliate e mi era sempre stato raccomandato di non dare confidenza agli sconosciuti. Un avvertimento fuori luogo visto che rinchiusa nella torre non avevo mai avuto modo di incontrare nessuno che non fosse una guardia o un servo.
Era anche da maleducati fissare le persone ma non potevo farne a meno. Quell'uomo era davvero bello. Avevi i capelli corvini lunghi fino alle spalle e due occhi che sembravano luminose ambre. Sembravano quelli di un leone e ne emanava anche la stessa forza.
Anche lui sembrava studiarmi con interesse ma si riprese abbastanza presto dalla sorpresa da parlare.
-Voi chi...-
-Vi prego, non ditelo al sultano. Non gli farebbe piacere sapere che sono uscita dalla torre.- lo bloccai. Questo pensiero mi aveva terrorizzato e non esitai a supplicare per il silenzio.
Lui mi guardò confuso. -Dalla torre?- poi sembrò aver trovato risposta alle domande che gli frullavano in testa. -Quindi esistete davvero. Siete la principessa Ariadne.-
Annuii in risposta.
-Per gli Dei, le voci non mentivano. Siete davvero bellissima.-
La sua schiettezza mi fece subito arrossire. Ero abituata a sentirmi dire del mio aspetto ma era la prima volta che i complimenti venivano da un uomo così giovane e attraente.
Cadde il silenzio tra noi, di nuovo. Saremmo rimasti in quella situazione di disagio se non fosse che sentii dei rumori di passi che si avvicinavano. Mi sentii cogliere dal panico.
-Devo andare. Mi spiace se vi sembro scortese ma non dovrei essere qui e voi non dovevate nemmeno vedermi...- mi bloccai perché mi accorsi di non sapere il nome dell'uomo che avevo di fronte. Ma lui corse subito in mio aiuto.
-Kael. Sono il principe del regno di Sefri. È un piacere conoscervi, principessa.- si inchinò, mostrano finalmente l'educazione impartitagli come membro di una famiglia reale.
Non sembrava una persona cattiva. I suoi occhi trasmettevano potere ma anche gentilezza. Un miscuglio strano per un futuro monarca ma, se i libri mi avevano insegnato qualcosa, ero certa che non sarebbe stato un tiranno. Qualcosa dentro di me diceva questo. Un sovrano che non sapeva anche mostrare cordialità verso il popolo non era destinato a un futuro glorioso.
-Piacere mio, principe. Ma ora... se volete scusarmi io andrei...- cominciai a incamminarmi verso l'entrata ma che mi prese per un braccio. La sua stretta fu un po' dolorosa ma quello che mi fece bloccare sul posto fu il suo sguardo ansioso. Sembrava restio a lasciarmi andare, eppure mi aveva appena conosciuta.
Lo guardai confusa e lui, resosi conto della presa troppo stretta, lasciò andare il mio braccio.
-Perdonatemi. Per favore, non andate via per causa mia. Non dirò niente a nessuno.-
Da quel momento, come se stesse operando una forza sconosciuta e magnetica, rimasi lì con lui il tempo necessario a finché mio padre non fosse tornato.
Kael
Non credevo nell'amore a prima vista ma con lei è sembrato come se qualcosa mi avesse colpito nel profondo. Era molto bella, era innegabile, ma avevo già incontrato donne bellissime pronte a ogni mia richiesta. Lei era diversa, non solo nell'aspetto dalle nostre compaesane. Lo era e questo mi intrigava non poco. Non avevo mai chiesto, nei miei ventitre anni di vita, di farmi compagnia a una donna. Erano loro di solito a invitarmi e a volta questo mi innervosiva non poco. Tutti mi vedevano solo come il futuro sultano di Sefri, come il Leone di Sefri, come mi hanno nominato dopo varie vittorie in battaglia. Ma la ragazza che sedeva di fianco a me sulla fontana al centro del giardino reale di Arjen, non sapeva niente di tutto ciò. Lei vedeva solo me, il primo estraneo che vedeva dopo anni di prigionia. Non poteva chiamarsi in nessun altro modo. Ero venuto ad Arjen per chiedere la pace ma non sapevo che custodiva un tesoro così bello. All'inizio ero rimasto abbagliato dalla sua candida bellezza ma poi, spinto dalla curiosità, la pregai di restare ancora con me. Forse potevo sembrare ridicolo a richiedere la compagnia di una donna con un tale fervore ma tutto quello che mi importava era conoscerla. Scoprire chi si nascondeva dietro alla figura mitologica della Principessa di Arjen. Mi rifiutavo di credere che si trattasse solo di una bionda bellezza. C'era altro dietro a quelle stupende fattezze, ne ero sicuro.
Rimanemmo a parlare per poco più di un'ora eppure mi sembrò un tempo infinito. Il mio intuito non si era sbagliato. Ariadne era una donna molto intelligente e capace ma anche ignara di come funzionava il mondo là fuori. Non cosa da imputare a lei, ovviamente. Di questo c'era solo da biasimare il suo ossessivo genitore. Strinsi i pugni nel pensare a lui. Ho sempre detestato il sultano del paese vicino, mi hanno insegnato ad odiarlo fin dalla nascita, e, dopo aver ascoltato la storia di questa ragazza, non potevo che confermare il mio rancore per lui. Ma d'altra parte, pensai, con ribrezzo, che forse avrei fatto la stessa cosa nei suoi panni. Sapevo che l'amore poteva far fare cose pazze, che poteva far perdere la testa a un uomo. Il sultano era solo un povero sventurato che aveva perso la sua ragione di vita e che cercava di non perdere l'unica cosa che le era stata lasciata. Lo odiavo ma allo stesso tempo lo compativo. Tuttavia, non volevo fare gli stessi errori di mio padre e inimicarmi tutti i regni vicini. Non volevo altri spargimenti di sangue. Quindi decisi di cercare un accordo con il sultano di Arjen. Ma lui non si era fatto vedere all'appuntamento, problemi sopraggiunti dal popolo. Lì per lì mi innervosii ma, per fortuna, l'attesa è stata poi deliziata dalla presenza inaspettata della principessa. Più la ascoltavo più sentivo uno strano calore nel petto, mai sperimentato prima. Un'attrazione innegabile iniziata da uno sguardo.
-Altezza, il sultano è di ritorno a palazzo.- e alla fine giunse la voce del mio fedele consigliere a porre fine al nostro tempo insieme.
Lei saltò in piedi, pallida come un fantasma, e il suo sguardo andò subito nella direzione per la torre.
-Mio padre non deve sapere che sono stata qui.- disse per poi girarsi verso di me. -Principe Kael, devo dirvi addio.-
Mi alzai anch'io e mi misi di fronte a lei, guardandola negli occhi.
-Non è un addio, principessa Ariadne. Ci incontreremo ancora.-
Le strinsi le mani tra le mie e le posai sopra un delicato bacio.
Una lacrima scese lungo la sua guancia.
-Come? La torre è molto sorvegliata e mio padre non mi farà mai uscire.-
-Riuscirò a vedervi, abbiate fiducia. Vi prometto che non sarete più sola.-
E con questa promessa, la lasciai andare. Lei mi guardò un'ultima volta con uno sguardo carico di amarezza per poi correre via e lasciarmi nel giardino.
Mantenni la promessa e riuscii per settimane a vederla. L'essermi guadagnato la collaborazione della sua balia e l'aver corrotto le guardie mi aveva aiutato ad entrare nella sua stanza e a passare il tempo con lei. Era diventata indispensabile come l'aria, il mio tutto. Fu la curiosità a spingermi a conoscerla ma ora non riuscivo a pensare a un futuro senza di lei.
La desideravo con ogni fibra del mio essere ma non le avrei mai mancato di rispetto. Aspettai un suo segno, qualcosa che mi dicesse che era pronta a condividere qualcosa di più delle parole.
Non tardò ad arrivare. Nonostante la sua insicurezza, lei chiuse gli occhi e socchiuse le labbra. Non avevo bisogno di altro. Mi avvicinai a lei, le presi delicatamente il viso e la baciai. Premetti prima con dolcezza, per non spaventarla, poi con più decisione. Dopo un po' lei si staccò piano e aprì gli occhi.
-Allora... questo sarebbe un bacio.- disse e le si imporporarono in modo delizioso le guance. Io sorrisi della sua innocenza. Era davvero unica.
-Questo è solo l'inizio.- e ripremetti le labbra sulle sue. Ancora e ancora, finché non ebbe bisogno di riprendere fiato. E quelle furono solo le prime di molte altre volte.
-Io brucio per te come sabbia del deserto, Ariadne. Tu sei il mio sole e non ti lascerò mai più andare.-
L'accordo di pace era stato accettato e si prospettava all'orizzonte un futuro felice. Forse ero stato troppo fiducioso, troppo incauto ma i nostri incontri segreti non poterono durare a lungo. Suo padre ci scoprì, una guardia ci aveva traditi, e la pace si infranse di nuovo tra i nostri popoli. Tutto per amore. Avevo sbagliato a stare con Ariadne solo con dei sotterfugi, avrei dovuto smettere e fare le cose per bene non appena avevo capito che lei era la mia anima. Dovevo smetterla prima di incontrarla di nascosto e chiedere la sua mano al sultano. Non avrebbe accettato comunque ma almeno avrei avuto la coscienza pulita. Lei meritava di meglio. Una vita fuori da quella torre, ricoperta del mio amore. Non volevo che lei dovesse scegliere ma era inevitabile ormai. O io o suo padre.
Ariadne
Fiamme, fiamme ovunque. La gente che evacuava dal palazzo che stava cadendo a pezzi. Avevo tanto pregato che questo giorno non arrivasse mai. Non volevo scegliere tra mio padre e l'uomo che amavo ma non potevo fare altrimenti. Era stato bello finché era durato. Grazie a Kael avevo scoperto com'era sentirsi amati, come un bacio potesse dare calore e speranza. La felicità era stata solo un sogno da cui mi sono presto dovuta svegliare.
Piansi, piansi fino a esaurire tutte le mie lacrime. Perché non poteva essere semplice? Perché non potevo essere felice con Kael? Prima di lui non avevo mai immaginato un futuro felice da sposa ma i suoi sguardi, i suoi baci e le sue promesse mi avevano illusa. A quanto pare ero destinata a restare sola con un padre pazzo e tormentato.
Mio padre aumentò la presa sul mio braccio e mi trascinò fino alla sala del trono. Lì, dietro a quest'ultimo c'era l'ingresso per un passaggio che portava fuori da palazzo.
-Aspettami qui, mia cara. Devo avvisare i miei uomini di farci trovare i cavalli all'uscita, così saremo pronti a fuggire nel regno di un mio amico. Lì saremo al sicuro.- e mi baciò la fronte, lasciandomi poi in quell'angolo appartato della sala. La minaccia delle fiamme era sempre più vicina ma non mi faceva paura quanto la prospettiva di non vedere più Kael. Sentivo il mio cuore sanguinare, un dolore bruciante che non smetteva di far male.
-ARIADNE!-
Ed ecco che la sua voce mi raggiunse e fu allora che lo vidi a pochi passi da me, ferito in alcuni parti del corpo e con la spada sporca di sangue. Quella versione di lui mi fece rabbrividire. Mi aveva raccontato delle sue prodezze in battaglia e di come venisse chiamato. Leone di Sefri. Mai nome fu più azzeccato di quello. In quel momento sembrava davvero un predatore pronto a cacciare. I suoi occhi dorati brillavano e i suoi musconi erano tesi. Non mi era mai sembrato così bello. Mi faceva paura ma allo stesso tempo mi faceva battere il cuore. Dietro a quella corazza di guerriero c'era il Kael dolce e passionale. Quello che voleva la pace. Ma il nostro amore è stata l'ennesima scintilla che ha scatenato l'inferno. Una lacrima scivolò giù a profanare la mia candida guancia.
-VATTENE, KAEL! TI SUPPLICO!- urlai. Il dolore ancora più forte. Mi scavava nel profondo, quasi togliendomi il respiro. Lui non poteva rimanere qui. Noi non dovevamo mai incontrarci. Perché, Destino, sei stato così crudele?
-Io non vado da nessuna parte. Sono venuto per liberarti.- disse e con poche falcate fu davanti a me. La spada cadde e lui mi strinse a sé, incurante della distruzione che ci circondava. Ero l'unica cosa che gli importava. Dovevo essere forte, rinunciare a lui e alla libertà. Per quanto volessi ricambiare la stretta, le mie mani rimasero abbandonate vicino ai fianchi. Strinsi forte sia le mani che gli occhi, i miei sentimenti fermi e nascosti.
-Non posso venire con te, Kael. Non siamo destinati a stare insieme. Io appartengo a mio padre.- Quanto mi erano costate quelle parole. Le sentivo in bocca, amare come veleno.
-Menzogne! Tu non appartieni a lui. Sei mia, Ariadne. Sei nata per esserlo e non rinuncerò mai a te.-
-Ti supplico, vai via!-
-Come puoi pensare che me ne possa andare senza di te? Non hai idea di quanto ti ami, Ariadne.-
-Anch'io ti amo ma mio padre non si darà pace e verrà a ucciderti. Non potrei sopportare di essere la causa della tua distruzione.-
Lui mi prese le mani e appoggiò la testa sulla mia.
-Non sei la mia distruzione, sei il mio sole.- Fronte su fronte, occhi su occhi. Come se potessimo fonderci l'un l'altra con solo uno sguardo.
-Tu sei la mia debolezza e la mia forza. Vieni via con me e rendimi il più felice degli uomini.-
Non ce la feci più. Dopotutto, ero solo una debole mortale innamorata. Non potevo più contrastare i nostri sentimenti, il nostro amore era troppo forte. Le barriere furono infrante e con le lacrime agli occhi, lo baciai. La scelta era fatta.
Perdonatemi, padre. D'ora in avanti sarò libera. Spero che un giorno comprendiate il mio volere.
E con questi pensieri me ne andai via con lui, con Kael. La sabbia che avrebbe continuato a bruciare solo per me.