Sheffield, Regno Unito 2020
“Afferro al volo il pezzo di carta stropicciata che il vento ha trascinato fino ai piedi della panchina; acciuffato, lo apro e ne leggo il contenuto. E nell’esatto istante in cui quella serie di lettere, messe una dopo l’altra precisamente in quell’ordine, attraversano i miei occhi e arrivano nella testa e da lì, in una corsa impetuosa, dritte al cuore, il tempo si ferma.”
-Heather? È quasi pronto il pranzo, scendi ad apparecchiare.-
La voce di mia madre interruppe l'incantesimo. Ero stata così presa da questo romanzo e le sue parole da non rendermi conto del tempo che passava. Guardai, per un attimo, stralunata la porta della mia camera poi mi apprestai a risponderle.
-Arrivo subito.-
Non ci voleva, proprio sul più bello. Chiusi il libro e controllai lo smartphone. Nessun messaggio da Theo o da Isabel.
Il cugino Theo era, da sempre, il mio cavaliere dall'armatura lucente. Mia madre mi aveva raccontato che, ancora prima di nascere, lui non faceva che seguirla e sentire se scalciavo forte nel pancione. Ma adesso le cose erano cambiate, eravamo grandi ormai ed era giusto che seguisse la sua strada. Da un paio di anni Theo era andato ad abitare da solo e aveva trovato il lavoro dei suoi sogni: il fotografo di viaggi. Ero tanto felice per lui ma questo non mi impediva di sentirne la mancanza. Adoravo mio cugino e speravo si facesse presto sentire.
Isabel, invece, era diventata mia amica da quando ci sedemmo vicine in prima elementare. L'intesa tra noi era nata dal primo sguardo e da allora eravamo quasi inseparabili. Ironia della sorte, abitavamo anche una di fronte all'altra e fu abbastanza scontato che anche i nostri fratelli diventassero amici nonostante quello di Isabel, Alan fosse di due anni più grande del mio, David.
Questi ultimi due ce ne avevano combinate di tutti colori. Alan e Isabel erano gemelli e lui era stato geloso dell'amicizia tra me e la sorella. Abbastanza da farmi continui dispetti a scuola e da chiamarmi con lo stupido nomignolo di “fiorellino”, a causa del mio nome.
Adesso che avevamo diciotto anni e mio fratello sedici, le cose erano cambiate. Avevamo altre preoccupazioni in testa quindi i litigi infantili stavano a zero. Dovevamo scegliere il nostro futuro, cosa avremo fatto alla fine delle scuole superiori, preoccupazione più grande di questa non ce n’erano alla nostra età. Io stavo pensando di diventare un'insegnante come mia madre ma non sapevo se ero portata per farlo. La mia genitrice era un angelo, una fonte continua di pazienza e premura, io no. Non avevo pazienza nemmeno per aspettare un panino al McDonald. Quindi credevo che i miei dubbi fossero comprensibili.
Scesi di sotto e il sorriso diventò una smorfia quando vidi chi c'era in soggiorno.
-Ma una casa tua non ce l'hai?- ribattei acida. Alan, in risposta, mi fece un sorrisino impertinente. Dovevo ammettere, però, che aveva delle belle fossette… per essere uno stronzo.
-Ti ricordo che sono amico di tuo fratello quanto tu sei amica di mia sorella.-
-Peccato che David sia andato a pesca con papà, quindi non capisco la tua presenza qui.-
-Isabel, come sai, è al volontariato per i crediti extra a scuola e i miei genitori sono andati a un pranzo tra colleghi. Perciò, tuo fratello ha avuto l'idea di informare vostra madre che questo bel giovanotto era solo soletto oggi. Di conseguenza, Cecily è stata così gentile da invitarmi. Contenta?-
-Per niente. Ma sto ancora cercando di capire chi sarebbe il bel giovanotto di cui parli.- Intrecciai le braccia in grembo, alzando un sopracciglio.
-Divertente. Senti, non sono qui per litigare. Non siamo più bambini- sbuffò.
-Concordo.- E restai a fissarlo per un attimo. No, non era decisamente più un bambino. Alan e Isabel avevano ereditato i tratti irlandesi da parte di madre. Entrambi avevano i capelli rossi, molto mossi, e qualche lentiggine sul naso. Ma si differenziavano per il colore degli occhi. Lei li aveva castani come il cioccolato, mentre Alan azzurri come il mare. Fin da piccolo, il fratello della sua amica era stato circondato da ragazze. Era sempre stato bello ma, adesso, che mi stava osservando in maniera strana e intensa, dovevo ammettere di trovarlo addirittura affascinante. Scossi la testa. -Ok, va bene. Accetto la tua presenza.-
-Gentile da parte tua- rispose asciutto. Poi si alzò e andò a prendere i piatti.
-Che stai facendo?-
-Ti do una mano a preparare la tavola. Tua madre ha quasi fatto di là e ho un certo languorino.-
Nel dire l'ultima parola mi guardò dritta negli occhi, e io, non riuscendo a trattenermi, arrossii e il cuore perse un battito.
Andai a prendere i bicchieri e le posate, senza più dire niente.
Perché mi sentivo in questo modo, ultimamente, con lui?
Essendo topi di biblioteca, sia io che Isabel non avevamo mai avuto un ragazzo. Questo lo sapevano tutti e le frecciatine non ci erano mai state risparmiate né a scuola né a casa. L'unico contento della mia situazione di single era mio padre, che non aveva mai fatto mistero di essere geloso della sua bambina. Sapevo di essere carina e avevo avuto qualche cotta negli anni, tuttavia niente che mi facesse sentire abbastanza presa da lasciare le mie amate letture.
Se qualcuno mi chiedeva del mio primo bacio, rimaneva deluso perché non poteva definirsi un vero e proprio primo bacio “romantico”. A cinque anni, avevo dato un bacino sulle labbra a mio cugino Theo e, per quanto potesse valere, non mi dispiaceva che fosse stato il primo. Avevo avuto una grande cotta per lui da piccola e non mi pentivo di niente. Solo che, dopo Theo, non c’era stato nessun altro, quindi non avevo per niente esperienza nel baciare. Vergognoso alla mia età, ma questo era un segreto che sapevano solo in pochissimi.
Isabel ed io eravamo, in quel momento, nella sua stanza e stavamo leggendo un romanzo d'amore in cui il lui, bello da togliere il fiato, dopo aver rapito e sposato la protagonista, stava per possederla nella loro prima notte di nozze. Entrambe arrossimmo e alla fine Isabel mi fece una domanda che mi imbarazzò ancora di più.
-Hai mai pensato a come sarà la tua prima volta? Pensi che faccia davvero così male come dicono?-
Io mi irrigidii. Avevo diciotto anni, ovvio che ci avevo pensato varie volte ma il sesso era stato un argomento tabù, finora per noi.
-Io, semplicemente, vorrei che lui fosse dolce e premuroso all'inizio. Per noi donne è naturale provare dolore nel perdere la verginità, ma poi sono sicura che sarà un'esperienza magnifica. Basterà trovare la persona giusta.-
Lei mi guardò, sorridendo. C'era qualcosa, però, di enigmatico sul suo viso. Forse era solo una mia impressione.
-Sono sicura che quella persona la troverai molto presto. Una persona che ti ama davvero tanto- disse.
Io non capii e, facendo spallucce, ripresi la lettura del romance.
Una domenica arrivò una visita che aspettavo da tanto. Theo era appena tornato dal suo ultimo viaggio e non aveva aspettato un giorno di più per rivederci. Quando scesi per fare colazione e lo vidi all'ingresso di casa, mi sentii la felicità fatta persona. Era stanco, si vedeva. I capelli neri, un po' ricresciuti, gli arrivavano alle spalle, mentre i suoi luminosi occhi castani erano cerchiati da leggere occhiaie. Aveva affrontato un volo di undici ore e nemmeno si era concesso un giorno di riposo prima di venire da noi. La sua destinazione, appena uscito dall'aeroporto, era stata in automatico casa Johnson.
Corsi ad abbracciarlo, strillando contenta. Lui ricambiò l'abbraccio ridendo del mio benvenuto entusiasta.
-Sei tornato, finalmente! Com'è andata in America? È bello come dicono il Gran Canyon? E Las Vegas? Santa Monica?-
-Ehi, ehi, dammi tregua, scricciolo. Sono appena arrivato e mi sento un vero catorcio- mi rimproverò dandomi un buffetto sulla fronte. -Ma fatti un po' guardare.- Mi fece volteggiare, ammirando ciò che si era perso in mesi di lontananza.
-Ti piace ciò che vedi?-
-Tantissimo. La mia cuginetta è diventata una vera sventola.-
-Merito di papà, senza dubbio- disse Julian facendo l'occhiolino al nipote. Mai simile affermazione gli costò un'occhiataccia della moglie. Il suo uomo era il solito modesto. Era vero che ero la copia di mio padre ma i lineamenti e la forma degli occhi li avevo ereditati da lei.
-Vieni, caro. Ho preparato proprio ieri la torta di mele che ti piace tanto- disse mia madre, prendendo sottobraccio Theo e scortandolo in cucina.
-Grazie mille, zia. Puoi immaginare quanto mi siano mancati i tuoi manicaretti.- La baciò sulla testa facendola ridacchiare.
-Ruffiano.-
Dopo mezz’ora, tornò anche mio fratello e la sua reazione all'arrivo di Theo fu identica alla mia. Più che un cugino, noi lo vedevamo come un fratello maggiore. Negli anni ci aveva dato consigli, ci aveva consolato ed elogiato. Staccarci da lui era stato doloroso ma necessario. Lui aveva il diritto di vivere la sua vita e, anche se non c'era in vista nessuna fidanzata stabile, un domani avrebbe voluto una famiglia tutta sua.
-Come è andata la tua ultima partita di football?- chiese Theo a David.
-Abbiamo vinto, ovviamente. Siamo troppo forti- si lodò mio fratello. Presuntuoso.
-Sempre modesto, eh- ridacchiò nostro cugino.
-Chi si loda, si sbroda, fratellino- lo rimbeccai.
-Ho solo affermato un dato di fatto. Non puoi negare che siamo una squadra molto brava- mi disse.
-In effetti, è vero- gli accarezzai la testa, smuovendogli i capelli.
David aveva preso il carattere strafottente e arrogante di nostro padre, ma era anche una persona attenta e gentile con gli altri, come lo era nostra madre. Aveva già detto che in futuro sarebbe diventato un dottore e non dubitavo che sarebbe riuscito nell'impresa. Da bambino non faceva che inseguirmi con il kit del pronto soccorso e mi implorava di fingere di essere il suo paziente. Era risultato utile in varie occasioni, come quando mi ero sbucciata il ginocchio nel cadere dalla bicicletta. Lui era stato subito pronto a disinfettarmi i graffi e a mettermi i cerotti. Aveva una vera e propria inclinazione. In realtà, dopo la morte del nostro amato Hugo, il cane che era stato al nostro fianco per ben diciassette anni, David aveva pensato di diventare veterinario per salvare gli animali dalla morte ma poi aveva preferito l'altra strada. Aveva solo sedici anni e già stava dando un'occhiata alle scuole di medicina. Era l'orgoglio dei nostri genitori, uno studente modello che avrebbe sicuramente fatto strada. Invidiavo la sua sicurezza.
-Ah, giusto! Heather, mi ha detto Alan che ci verrà a prendere lui stasera per andare alla festa di Josh. Inoltre, ha provato a chiamarti Isabel ma avevi il telefono spento. Voleva dirti che non riesce più a venire con noi, si è presa il raffreddore- mi informò mio fratello.
Il telefono spento? Santo Cielo! Mi ero dimenticata di accenderlo dopo aver finito la lettura del libro, di nuovo. Avevano proprio ragione quando mi dicevano che per comunicare con me sarebbe stato più utile un piccione viaggiatore. A differenza dei miei coetanei, vivevo meglio lontano dai cellulari e dai social, e sarei stata a favore di far tornare le vecchie lettere cartacee. Vuoi mettere il fascino delle parole scritte a mano e il profumo della carta di fronte a quelle vuote e banali digitate su uno schermo piatto?
-Capisco. Dopo la chiamo. A che ora viene a prenderci Alan?-
-Per le otto. Fatti trovare pronta. Ti consiglierei di mettere quel vestito sexy viola che hai comprato un paio di mesi fa. Con quelle gambe, sorella, farai sbavare qualsiasi cretino di sesso maschile.-
-Allora scordati di uscire con quel vestito- si intromise mio padre. Che gli era saltato in mente di dire davanti a papà una cosa del genere? Guardai male David che, in risposta, fece un sorriso malizioso.
-Allora c'è quello rosso. Con quello mostrerai un bel davan...- continuò il mio diabolico fratello.
-Non sono affari tuoi che cosa indosserò stasera. La tua aspirazione è diventare medico, non un modista- lo bloccai, prima che nostro padre potesse pensare di vietarmi di andare alla festa. Mamma lo avrebbe sicuramente tranquillizzato ma era meglio non rischiare.
-Ok, ok! Basta che per le otto non ci farai aspettare- sbuffò.
-Non succederà.-
Dopo aver passato l'intera mattina e il pomeriggio con il figliol prodigo Theo, mi trovai davanti all'armadio a decidere cosa indossare per la festa. Chiamai anche Isabel per scusarmi per non averla richiamata subito e per eventuali consigli su abiti e make up. Non ero una fissata con la moda ma riuscivo comunque a vestirmi bene senza mai passare per sfigata o nerd. A truccarmi ero piuttosto brava, avevo imparato a quattordici anni tramite tutorial su Youtube e da allora io e Isabel ci divertivamo a vedere quali colori ci stavano meglio a seconda della giornata. Con i miei occhi verdi si abbinavano gli ombretti rosa chiaro, viola, lavanda e rosso. Alla fine, pensai davvero di indossare il vestito viola che mi arrivava poco sopra le ginocchia. Avrei potuto abbinarci l'ombretto lavanda, un po' di eyeliner, mascara e un lucidalabbra alla pesca. Mi tirai una ciocca di capelli ondulati e decisi che l'avrei lasciati sciolti.
L'abito aveva la gonna larga e sopra una scollatura a V, senza maniche, che mi lasciava la schiena scoperta. Per finire l'opera, pensai di mettere delle décolleté nere.
Sì, avrei fatto così.
Dopo venti minuti, guardandomi allo specchio, capii di aver preso la decisione giusta. Al diavolo i commenti di papà e di David sulle mie gambe. Ero grande abbastanza per permettermi questi sfoggi. Sarebbe stato peggio per papà, se avessi davvero indossato quello rosso. Avevo già una terza abbondante di seno, con quello sarei sembrata ancora più formosa di quanto già non fossi. Un infarto sicuro per il mio geloso genitore.
Poco tempo ancora e sentii il clacson suonare davanti casa nostra. Guardai fuori dalla finestra e poi l'orologio. Era arrivato con cinque minuti di anticipo. Menomale che ero pronta sennò mi avrebbero fatto la predica. Mi ricontrollai un'ultima volta, presi la borsa e poi scesi di sotto. Mio fratello era già all'ingresso, insieme a Theo e ai nostri genitori. Tutti si girarono a guardarmi e sui loro volti apparirono espressioni di ogni tipo. David mi fece l'occhiolino, papà mise il broncio, contrariato, mamma mi sorrise soddisfatta mentre mio cugino mi guardava con stupore e orgoglio.
-Sei bellissima, tesoro- disse mamma.
-Troppo corto- brontolò papà, beccandosi una gomitata dalla moglie.
-Grazie, mamma- risposi, arrossendo.
-Non sarò in futuro un modista ma direi che ci ho visto giusto con l'abito viola- ghignò David.
-Ma stai zitto- gli diedi uno scappellotto in fronte.
-Divertitevi, mi raccomando- disse Theo, dando un bacio sulla fronte a me e un lieve pugno sulla spalla di David.
-Puoi scommetterci!- esclamò quest’ultimo e poi, dopo gli ultimi saluti, uscimmo.
Lo sguardo affascinato che mi rivolse Alan appena mi vide mi riportò a circa un anno prima.
Ero alla casa al mare che avevano i Campbell. Isabel mi aveva invitato a trascorrere una settimana di vacanze con loro. Io avevo accettato subito, contenta di poter stare insieme a lei, ma durante quel periodo mi ero sentita strana. Alan non faceva che guardarmi, impassibile, e io non potevo fare a meno di provare disagio. Avevo sempre pensato che i suoi occhi fossero bellissimi, ma negli ultimi anni mi avevano fatta sentire come se fossi nuda, vulnerabile.
A un certo punto, stufa di quella sensazione, lo avevo messo con le spalle al muro.
-Si può sapere che problemi hai? Perché mi fissi di continuo? Ho qualcosa che non va sulla faccia?-
Lui, in risposta, aveva sgranato gli occhi, stupito dalla mia schiettezza, ma poi aveva ripreso a parlare, sorridendomi.
-Non hai niente che non va. Il tuo viso è bellissimo, come sempre. Puoi stare tranquilla.-
Cosa?
Mi aveva lasciato interdetta. Era scoppiato a ridere e se n’era andato senza dire nient'altro.
Il giorno dopo, mi ero preparata per fare una doccia. I Campbell avevano deciso di rimanere in spiaggia quindi in casa ero sola, o almeno così avevo pensato. Stavo per uscire dal box quando la porta del bagno si era aperta trovandomi di fronte proprio l'ultima persona che avrei voluto vedere.
Alan era in costume, ricoperto di sabbia. Era appena tornato dalla sua partita di beach volley e non aveva pensato minimamente che il bagno potesse essere occupato.
Era rimasto lì impalato a fissarmi per qualche secondo. Dalla sua bocca non era uscita una sola parola.
Poi la sua espressione era cambiata. Da stupita, si era trasformata ben presto in qualcosa che non avevo saputo subito identificare, ma poi avevo capito. Era desiderio. Quel sentimento che spingeva un uomo e una donna l'uno verso l'altra. Una brama di cui, fino al quel momento, avevo letto solo nei romanzi. Non avevo mai pensato ad Alan come a un “uomo” ma da quel giorno tutto era cambiato, e avevo sentito caldo dappertutto. Ero arrossita fino alla punta dei capelli e gli avevo urlato contro con quanto fiato avevo in gola. Lui ero uscito di corsa, senza fare commenti, e io mi ero ritrovata a vergognarmi dei miei pensieri maturi.
Da allora, avevo fatto in modo di non ritrovarmi più da sola con lui. Ma il suo sguardo aveva ancora adesso un certo potenziale. Era bello, non potevo negarlo, ma non avevo mai pensato a lui come a qualcuno da frequentare. Era il gemello di Isabel e un playboy incallito, questo bastava a tenerlo nella lista dei ragazzi “off limits”.
Tornando al presente, ignorai la sua espressione e, senza dire una parola, andammo alla festa.
Senza Isabel non era, di certo, la stessa cosa. Avevo altri amici oltre a lei, ma con loro non avevo lo stesso rapporto speciale. Stavo parlando del più e del meno con alcuni miei compagni, quando un ragazzo del terzo anno fece una proposta nel mio gruppo. Non era male, capelli rasati, sorriso bianchissimo e atteggiamento da leader del mondo.
-Giochiamo a obbligo o verità, che ne dite?-
-Ma sei scemo? Alla nostra età ancora con questi giochi infantili?- rispose una compagna di classe di mio fratello. Doveva essere Valerie, la snob che una volta aveva tirato addosso a una ragazza un vassoio, perché reputava i suoi vestiti troppo scialbi.
-Tu puoi pure starne fuori, se non ti va. Voi altri che ne pensate?- replicò l’altro speranzoso.
Io non amavo tanto quel gioco ma perché no? Era un modo alternativo per passare la serata.
Alla fine, riuscì a trovare ben quindici vittime per il gioco, tra cui Alan e David, e ci mettemmo in cerchio. Girò la bottiglia almeno sei volte prima di indicare l'amico di mio fratello. Il ragazzo che aveva il potere di scombussolarmi come nessun altro.
-Guarda, guarda... il nostro fiammeggiante Campbell- commentò maliziosa una delle ragazze più belle del nostro anno.
Tutti ci girammo a guardare sia Alan che il ragazzo che doveva decidere la sua sorte.
-Obbligo o verità?- gli chiese.
Alan guardò prima me poi lui. Sfoggiò un sorriso da spaccone.
-Obbligo.-
-Allora, ti obbligo ad andare nel gazebo e dare un bacio alla sorella maggiore Johnson.-
Urla di incitamento uscirono dai nostri compagni e io, per un attimo, smisi di respirare. Alzai lo sguardo verso di lui. Alan mi stava fissando intensamente e sembrava non voler fermare il nostro gioco di sguardi. Si avvicinò piano e mi prese delicatamente la mano. Mi trascinò verso il gazebo e io non riuscii a far altro che seguirlo docile. Non sapevo il perché ma non volevo tirarmi indietro. Forse a causa della curiosità da novella baciatrice, dell'atmosfera, o forse della luce che avevo visto negli occhi di lui prima di sentirne il calore della mano.
Mi dimenticai degli altri e, in un attimo, me lo trovai davanti con i suoi profondi e stupendi occhi azzurri che mi guardavano come a voler entrare nella mia anima.
Senza alcuna esitazione, si chinò e mi coinvolse in un bacio mozzafiato. Non c'era stato nessun sbattimento sui denti, nessun impaccio nei nostri gesti. Tra noi fu tutto naturale e assolutamente perfetto. Un bacio semplice che poi si trasformò in qualcosa di più profondo e intimo. La sua lingua cominciò a premere sulla mia bocca e fu in quell'istante che io tornai con i piedi per terra. In quegli attimi mi ero sentita come fluttuare, come se stessi in un sogno da cui non volevo svegliarmi. Cosa mi era preso?
Mi staccai di botto e sentii i fischi di apprezzamento e i commenti maschilisti dei suoi compagni. Mi girai a guardare David ma quello che vidi non mi piacque per niente. Mio fratello stava passando una banconota al ragazzo che aveva deciso l'obbligo di Alan. Sì, proprio mio fratello aveva fatto in modo di farmi baciare dal suo migliore amico. Ci vidi rosso.
Anche Alan guardò, confuso, verso i due ragazzi e poi capì. Si girò vero di me, sconvolto.
-No, non è come credi- tentò di giustificarsi, il bastardo.
-Andate al diavolo!- urlai e scappai verso l'uscita della casa.
-Aspetta! Ti giuro che si tratta di un malinteso- continuò lui ma io non stavo ascoltando.
Arrivata sul ciglio della strada, fuori dal trambusto della festa, mi ricordai che ero venuta in macchina con lui.
-Merda!-
-Non dovresti rovinare la tua bella bocca con simili parole- mi disse la sua voce alle spalle. Mi aveva seguito.
-Che diavolo ti importa?- Ero troppo incavolata.
-Heather...-
-Non parlarmi!-
-Non voglio più trattenermi- affermò alla fine.
Io mi bloccai e, di colpo, la mia rabbia si trasformò in paura. Sì, paura, per quello che ancora non volevo ammettere.
-No...- cercai di protestare ma senza successo.
-Prima, però, voglio che tu mi dica una cosa.-
-Quel bacio...- Stavo per dire che era stato un errore. Che era capitato solo a causa di un complotto di mio fratello a favore del suo amico.
-Sì, quel bacio. Ti è piaciuto? Dimmelo, Heather, ti prego. So che hai provato quello che ho provato io, ma voglio sentirlo da te. Non mentire a me e a te stessa.-
-Un'affermazione piuttosto presuntuosa da parte tua.-
-Simili scintille non si sentono se non c'è partecipazione anche dall'altra parte.-
-Devi esserne esperto se sai tutto ciò.-
E a quelle parole, vidi il suo sguardo irrigidirsi. Un misto tra rabbia e tristezza.
-Pensavo che non credessi ai pettegolezzi.-
-Non prendermi in giro, Alan. Ho sentito troppe ragazze decantare le tue lodi, per pensare di te il contrario.-
-Non ti mento dicendo che tu sia stata la prima che ho baciato ma ti posso assicurare che non ho tutta questa esperienza per cui mi lodano. Cazzo, Heather, ti amo da così tanto tempo che non ho mai pensato di andare oltre con nessun'altra.-
La sua confessione mi colpì con la potenza di un uragano. Stava dicendo che...
-No, non è possibile- dissi più a me stessa che a lui. Non poteva essere ancora vergine. Era Alan Campbell, la “fiamma” della nostra scuola.
-Invece, ti giuro che è così ed è piuttosto deprimente ammetterlo per un ragazzo.-
Vidi che le sue guance si erano un po' imporporate. Diceva il vero. Davvero scioccante.
-Oh…- riuscii solo a dire.
-Ci sei sempre stata tu, Heather, il mio “fiorellino” acido e testardo. Ti ho amata quando, a dieci anni, mi hai battuto a basket. Ti ho desiderata quando un paio di anni fa, per farmi un dispetto, ci hai buttato entrambi in piscina. Fu allora che mi accorsi che avevi delle belle tette. Ahi!- All'ultimo gli diedi un pizzicotto sul braccio. Ricordavo quel giorno. Eravamo a una festa in piscina di un amico in comune e lo scherzo mi si ritorse contro ritrovandomi con i vestiti fradici. Non avevo idea che lui avesse fatto simili pensieri.
-Basta, Alan.-
-Io ti amo. Ti ho già detto che non siamo più bambini e io sono stanco di nascondere i miei sentimenti. Tutti lo sapevano, perché pensi che tuo padre cercasse di tenerci distanti quando eravamo in casa? David, invece, mi ha preso in giro varie volte e ha cercato di darmi consigli per affrontarti. Isabel, non ne parliamo. Era talmente euforica che pensava già al nostro matrimonio.-
Guardai in basso con il viso in fiamme. Tipico di Isabel esagerare così. Reagiva allo stesso modo con le coppie di cui leggevamo nei nostri romanzi.
Mi allontanai di più da lui. Non avevo il coraggio di guardarlo in faccia. Era troppo da sopportare.
-Mi dispiace. Io... devo pensarci. Scusami.- E scappai via. Lontano da sentimenti che ancora dovevo comprendere bene.
Piansi per un’ora buona prima che Theo si presentasse nella mia stanza. Bussò con delicatezza, quasi non lo sentii quando lo fece. Si avvicinò con cautela, come per paura di rompermi al minimo respiro. Sembrava che avessi avuto una delusione d'amore quando alla fine era tutto il contrario. Ormai avevo perdonato anche David per quello che aveva fatto alla festa, perché in buona fede, ma lui ancora non lo sapeva e mi stava lasciando il tempo giusto per capire. Theo, invece, era lì. C'era sempre stato per la famiglia, per me.
-Ehi, piccola. Ti va di parlarne?- mi accarezzò le spalle, stringendomi a lui.
-Che cos'è l'amore, Theo?- me ne uscii di punto in bianco.
Lui mi guardò serio e poi sul suo viso spuntò un leggero sorriso.
-A quanto pare il giovane Campbell si è fatto avanti. Ce ne ha messo di tempo.-
Sgranai gli occhi. Allora era vero che lo sapevano tutti dei sentimenti di Alan. Tutti tranne la diretta interessata.
-Mi sento tanto stupida. Non mi ero accorta di niente.-
-Diciamo che non hai mai notato ciò che succede fuori dai tuoi romanzi. Per anni non ha fatto che guardarti e i dispetti che ti faceva servivano solo per catturare la tua attenzione.-
Rimasi in silenzio, con lo sguardo sul pavimento.
-Vuoi davvero sapere cos'è l'amore?- continuò, a quel punto.
-Sì, ti prego, dimmelo.-
-È quando ti senti mancare il respiro nel vedere il suo sorriso. È quando senti la sua mancanza nello stare lontani. Quando senti le farfalle nello stomaco e il cuore battere all'impazzata nel vederlo o nel pensare a lui. L'amore è un sacco di cose, Heather. Sta a te decidere se aprire il tuo cuore. Sei giovane, potresti sbagliare, o forse no. Solo il tempo dirà se avrai preso la decisione giusta.-
-Non c'è un modo per saperlo subito?-
-No, ma ti fidi di me?-
-Certo.-
-Allora ti posso dire che il mio istinto non si sbaglia e che sarai felice con lui. Conosco entrambi da quando eravate piccoli, è un bravo ragazzo ed è sincero. Sono sicuro che ti tratterà come il più prezioso dei tesori- mi prese la mano e la strinse. Il suo calore mi rassicurò.
Sorrisi lievemente e lo guardai con le lacrime agli occhi.
-Grazie.- Un flebile sussurro che udì comunque.
Con il sorriso sulle labbra, mi baciò la fronte e mi abbracciò. -È stato un piacere.-
Il giorno dopo, ero seduta su una panchina. Isabel mi aveva dato appuntamento al parco vicino e stavo attendendo il suo arrivo. Pensavo che fosse arrabbiata con me per come avevo trattato il suo gemello ma, a quanto pare, mi sbagliavo. Il suo tono al telefono quando mi aveva chiesto di vederci era, come sempre, gentile.
Era una giornata ventosa. Era già la quinta volta che i capelli mi coprivano la faccia e li rimettevo dietro. A un tratto, però, i miei occhi furono catturati da un foglio accartocciato, il vento lo aveva portato ai miei piedi. Fu come un déjà-vù. Ricordai le parole che avevo letto qualche giorno prima e la situazione mi parve inverosimile.
Raccolsi il foglio e lo aprii. Fu davvero come se il tempo si fermasse. C'erano scritte solo due parole ma in quelle poche lettere vi era racchiusa la mia felicità. Tutto questo era molto meglio dei miei romanzi.
Ti amo.
Solo questo e io scoppiai a piangere.
-Se avessi saputo che ti avrebbe fatto questo effetto, avrei evitato- disse la sua voce. Alan era a pochi passi da me e nel suo sguardo c'era speranza mista a preoccupazione.
-Scherzi? È la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me- risposi, asciugandomi le lacrime.
-Adesso che mi dici? Sono all'altezza dei tuoi romanzi?-
-Oh sì. Devo ammettere che anche la realtà ha il suo fascino, grazie a te.-
-Ha, quindi, qualche possibilità, questo affascinante giovane uomo, di avere il tuo cuore?- mi chiese. Le mani strette, in attesa.
Avevo già compreso di amarlo ma, dopo quelle parole, lo amai ancora di più. Sentii che stavo per fare la scelta migliore della mia vita.
Mi avvicinai a lui e gli presi le mani. Feci un respiro profondo e lo guardai dritto negli occhi.
-Sì. Ti amo, Alan Campbell, e, se vorrai, sarò tua per sempre.-
A malapena finii la frase che mi strinse in un abbraccio. I nostri cuori battevano all'unisono.
-È quello che ho sempre desiderato. Ora e sempre.-
E poi le sue labbra toccarono le mie, all'inizio con gentilezza e premura, poi con una passione crescente. La nostra storia ebbe inizio e da quel momento mi sentii la ragazza più fortunata dell'universo. Non invidiai più le eroine dei romanzi, ero diventata una di loro e avrei vissuto una vita piena di felicità e amore.
FINE