Titolo: (Ridammi) quello che mi appartiene
Trama: Rose era da poco passata dall'essere una bambina ad un'adolescente con le prime consapevolezze, quando un ragazzino le ha strappato via qualcosa che per molti è decisamente importante: la sua prima cotta ed il primo bacio, mai ricevuto. Non aveva la benché minima idea di come una voce alimentata potesse costarle il suo rendimento a scuola, una media alta e la sua reputazione. Tutti da quel maledetto giorno, il 14 febbraio, avevano iniziato ad etichettarla come la ragazza di Nate e lui dal canto suo non aveva certo smentito, solo che non era la sua ragazza: non era che una sconosciuta per lui, pronto a farla passare per una fidanzata tradita e più vigliaccamente come una pazza che aveva immaginato tutto. Adesso, dieci anni dopo, era venuto il momento del faccia a faccia che fino a quel momento nel corso degli anni era solo stato accennato. Nate infatti, non si era mai scusato nemmeno quando circa cinque anni prima, guardandosi indietro, Rose gli aveva chiesto il perché di quelle bugie. Non erano più dei ragazzini ma per Rose quella era una cicatrice, una macchia indelebile che sbandierava al modo che anche lei era stata tanto sciocca da cadere nella trappola di un mentecatto.
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Qualcuno ha presente quegli attimi che sembrano eterni, tipo fermo immagine? Mi sembra di essere esattamente la protagonista di una scena al rallentatore: gli sguardi che s'incrociano, il respiro che s'incastra nei polmoni prima di fuoriuscire tutto d'un fiato, l'esitazione nel muoversi anche solo di un millimetro...
Tutto molto bello eh! Però non avvampo e né tantomeno il cuore s'impenna. Avverto solo una folata d'aria fresca accarezzarmi il viso, ma resta uno di quegli attimi infiniti.
Una volta non era così, perfino in autunno, nel vederlo avevo percepito una brezza calda e accogliente, questo testimoniava come negli anni le cose fossero cambiate.
Non avevo nessun presentimento che proprio oggi l'avrei incontrato dopo almeno tre anni dall'ultima volta che l'ho incrociato di sfuggita ad una festa, ed il modo in cui mi guarda, ogni rara volta in cui capita, m'infastidisce. Comunque, qualcuno o qualcosa deve aver tentato di avvisarmi: il nuovo collega con il suo stesso nome, il fascicolo sulla sua famiglia spuntato almeno una settimana fa sulla scrivania di un secondo mio collega, io che ripenso alla stupida idea avuta una decina di anni fa di compragli dei cioccolatini, gli stessi che vendono in questo periodo durante le feste; doveva essere un avviso ma ho scelto di non coglierlo, di non dargli tutta questa importanza, anche perché lui non la merita; come non lo merita il periodo durante il quale sono rimasta infatuata di lui, ma allora perché sono qui a pensarci? Perché non riesco a muovermi? Perché lui non si muove? Perché restiamo a fissarci?
Chiudo gli occhi il tempo necessario per riaprirli e vederlo andare via. Mi volto e vado via anche io, non mi volto, respingo il passato riemerso appena, soffocandolo del tutto ora che non fa più male. La cicatrice ha perso l'intensità del rosso, è passata al rosa chiaro ed ora al bianco. Le domande muoiono come sono nate in attesa di un nuovo incontro, perché abitiamo nella stessa citta e da quello che ho sentito dire, si è trasferito a pochi isolati dalla zona che solitamente frequento, ecco un altro indizio che ho trascurato.
Una settimana dopo ritornando in ufficio, con in mano il mio solito bicchiere pieno di tè nero, cerco di capire cosa sia accaduto in mia assenza, mentre ero in pausa pranzo. I vari reparti sono deserti, fatta eccezione per alcuni tirocinanti che si trovano spaesati a non avere una guida...
Camilla, una ragazza delle risorse umane mi viene incontro, ed è lei a spiegarmi, vedendomi quantomeno perplessa, cosa è successo: tutti in permesso o meglio in malattia per intossicazione alimentare. Davvero fantastico! Gran parte del personale ieri sembra essersi fermato per il pranzo nello stesso posto e da qui quanto ne segue.
Ora io ho ancora del lavoro da svolgere, per cui occupo la mia posizione e mi metto a lavoro come ogni giorno. Sono le 16:03 quando dal centralino vengo informata che si sono degli utenti che avevano un appuntamento per oggi e l'unica disponibile a riceverli nell'ambito finanziario sono io. Quindi per quanto non mi entusiasmi l'idea di essere interrotta e svolgere del lavoro che spetterebbe ad altri, armata di pazienza, chiedo di far salire chi aveva preso questo appuntamento. Nessuno potrebbe mai e poi mai immaginarsi il mio stupore nel ritrovarmi davanti per la seconda volta, a distanza di sette giorni, Nate.
A differenza della scorsa volta, quando eravamo in strada, oggi è nel mio mondo, nella piccola stanza in cui svolgo il mio lavoro, non mi sfuggono i cambiamenti nel suo aspetto... Non credo di aver mai potuto notare, in questi anni, nelle occasioni fuggenti, tutti questi dettagli, ma i cambiamenti nei suoi lineamenti sono molto più marcati. Gli occhi che mi avevano chiesti ambrati se avessi un interesse erano ora più cupi, ma non spenti. La sua fronte nel vedermi si era aggrottata e lo imbruttiva così tanto da chiedermi: perché ho scelto lui?
"R-Rose?" chiede incerto.
Il fatto che ricordi il mio nome non mi scalfisce più di tanto, anche se è passato molto tempo.
"Nate" lo saluto.
Dopo un silenzio prolungato mi decido a comportarmi come mio solito: dipendente pratica e concisa. Gli chiedo il motivo dell'appuntamento, cercando di capire la ragione per cui si trova qui e come sbrigare la faccenda. Riesco ad inserire con facilità il suo nucleo famigliare tra i prossimi beneficiari di un incentivo nel settore della ristorazione. In pratica hanno intenzione di aprire un'attività e devo solo caricare delle informazioni a questo punto...
Quando sta per girare i tacchi e sparire, a lavoro finito, mi sorge spontanea sulle labbra, una domanda che non riesco a trattenere: "Perché?".
"Non lo so" risponde esattamente come l'ultima volta in cui ho tentato di chiederlo, con la differenza che appare sincero o forse sono io che voglio credere lo sia.
"Ma mi dispiace" aggiunge lanciandomi un ultimo sguardo.
Ho aspettato questa risposta così a lungo e mi rendo ora conto che non è niente di speciale, che non esiste una ragione all'idiozia, qualsiasi risposta mi avrebbe dato. Le sue scuse non so definirle, ma credo non avessi davvero bisogno di riceverle. Ciò che mi ha "rubato" resta nel passato ma da quel punto sono andata avanti e continuerò a farlo.
Il ricordo di lui che strilla di avermi baciata davanti all'intera scuola e che io fossi la sua ragazza si sgretola, come tutto ciò che di negativo associavo a quell'evento: gli sguardi compiaciuti dei ragazzini, le strofe su noi due duranti i viaggi in pullman, tutto scompare anche le frasi offensive della sua vera ragazza rivolte a me che non avevo idea di come difendermi, spaventata da qualcosa che andava oltre le mie capacità. In quel momento è così che mi sentivo: non riuscivo a schernirmi a difendermi dalle menzogne che mi venivano associate, dalle attenzione non volute che mi venivano riservate e mi sentivo una marionetta in mani estranee.
A fine turno esco dall'ufficio e in strada, la prima cosa che faccio è dirigermi in pasticceria e premiarmi per quella che sono oggi: perché quella ragazzina incapace di spiegare la verità oggi è stata capace di ricevere le sue risposte, che si aspettasse o meno quelle parole, sapeva già - in cuor suo - che niente sarebbe cambiato e che non aveva affatto bisogno di affrontare quella persona ma sono ugualmente orgogliosa di chi sono diventata, di come ho gestito la sua presenza e di essere soprattutto una me diversa, che non si nasconde davanti ai problemi, che per quanto grandi siano cerca di trovare una via d'uscita. Non che questo fosse un problemone, ma per me era importante dimostrare a me stessa che non mi sarei tirata indietro questa volta, avrei dunque riavuto indietro il senso di libertà che mi era stato sottratto.